Cominciamo bene…

Il 2023 comincia nel peggiore dei modi: con una balla ed una reazione di panico insensato, ancora una volta innescata dall’Italia.

La balla è che in Cina, dove il governo ha colpevolmente tolto tutte le restrizioni, il COVID sta dilagando, con milioni di contagiati e migliaia di morti ogni giorno. La reazione italiana è stata, ancora una volta, esemplare per irrazionalità e inutilità: tampone obbligatorio per tutti i passeggeri dei voli diretti dalla Cina che arrivano in Italia, non si sa per cercare cosa (nuove varianti, per definizione sempre meno pericolose?) o a che scopo (tracciare/contenere un virus ormai endemico da un paio d’anni?) o con quale logica (tracciare i relativamente pochi arrivi diretti in aereo e perdere tutti gli altri – la maggioranza – che arrivano da scali in area Schengen); ottenendo, come unico risultato, di trovare qualche centinaio di positivi asintomatici (circa il 50% dei testati, come nelle migliori endemie) affetti dalle stesse varianti presenti ovunque, per chiuderli (fiduciariamente) in casa per un po’ di giorni. Infine, la reazione italiana ha generato, anche stavolta, preoccupazione nel mondo, con alcuni paesi (Spagna e Francia, ad esempio) che si sono accodati nelle assurde misure di controllo, ma la maggior parte (Germania in primis), almeno per ora, non ci sono cascati; ed anche l’ECDC precisa: “lo screening dei viaggiatori dalla Cina è ingiustificato per l’Ue. I Paesi dell’Ue hanno livelli relativamente alti di immunizzazione e vaccinazione e le varianti che circolano in Cina sono già in circolazione nell’Ue. La misura di screening dunque non è necessaria a livello dell’Unione Europea nel suo complesso” (la citazione non l’abbiamo verificata, ma è contenuta in un articolo degli agguerriti e ortodossissimi fact-checkers di Open, quindi la prendiamo per buona). Infine, per avere un’idea di quale livello di insensato terror panico si sia di nuovo instaurato nella popolazione grazie al rinnovato tam tam dei media, basta aprire un qualunque giornale (ad es. il testé citato Open, in un articolo di qualche giorno fa).

Per cogliere a pieno il senso di questa surreale vicenda consigliamo la lettura di alcuni articoli.

  1. Prima di tutto quello apparso su Wired il 30/12 in cui la Cina viene “coglionata” su tutta la linea, prima per le restrizioni assurde (dimenticando di ricordare che l’Italia è stata tra le più pedisseque seguaci di questa strategia) poi per il repentino annullamento di tutte le restrizioni ed il sacrilego “declassamento del Covid-19 a malattia infettiva di Categoria B(peraltro denotando un certo “coraggio” di verità, ancora impensabile tra gli illuminati paesi occidentali); mentre, ovviamente, non si prova alcun imbarazzo nel dire che “tutto questo (avviene) mentre i contagi sono in aumento esponenziale. Secondo delle presunte stime citate in un incontro della Commissione nazionale per la salute potrebbero esserci stati quasi 250 milioni di contagi nei primi 20 giorni di dicembre, con 37 milioni di nuovi casi solo il 20 dicembre”. Il sottolineato è nostro, perché ci ha fatto cadere dalla sedia: i contagi SONO (indicativo, quindi certezza) in aumento esponenziale, tuttavia la notizia si basa non solo su STIME ma addirittura PRESUNTE e secondo cui POTREBBERO (condizionale) esserci stati milioni di nuovi casi… Sufficiente per finirla qui e buttare a mare tutta la vicenda. Ma è Natale, siamo magnanimi e proviamo ad approfondire ulteriormente.
  2. Proponiamo quindi un secondo articolo di Wired, pubblicato il 28/12, nel quale la questione è spiegata con maggiore dettaglio, pur senza trarne alcuna conseguenza logica sul piano della plausibilità della notizia né – tanto meno – suggerire alcun dubbio sulla intoccabile strategia italo/cinese di lotta al COVID; che sono proprio i due pensieri che ci sono venuti in mente, leggendo non tanto l’articolo in sé, quanto soprattutto le fonti1 in esso citate.
  3. Sulla situazione cinese ci si riferisce infatti ad un articolo dal sito della CNN (che cita, a sua volta, Bloomberg e Financial Times, che però non abbiamo potuto consultare direttamente, essendo siti a pagamento) il quale, tra le altre cose, parla di una “stima che la CNN non può confermare in modo indipendente” e racconta che tali dati stimati “sono stati presentati mercoledì durante una riunione interna della National Health Commission (NHC) cinese, secondo entrambi i media, che hanno citato fonti a conoscenza della questione o coinvolte nelle discussioni. (…) Venerdì, una copia di quelle che presumibilmente erano le note della riunione dell’NHC è stata diffusa sui social media cinesi e vista dalla CNN; l’autenticità del documento non è stata verificata e l’NHC non ha risposto immediatamente a una richiesta di commento”. Insomma, chiacchiere di corridoio, non confermate e non verificabili; e, per di più, le fantomatiche cifre “sono in netto contrasto con i dati pubblici del NHC”, cioè con quello che l’ente cinese effettivamente dice. Da qui la nostra prima deduzione: tutta questa storia è probabilmente una balla o giù di lì.
  4. Quanto al merito delle implausibili cifre di cui sopra (“quasi 250 milioni di persone hanno contratto la Covid-19 nei primi 20 giorni di dicembre, pari al 18% della popolazione”) l’articolo di Wired aggiunge il riferimento ad un lavoro di stima inglese che, al di là dei numeri (comunque – lo ripetiamo – si tratta di stime basate su ipotesi che, per quanto metodologicamente valide, lasciano un po’ il tempo che trovano), spiega la situazione cinese, oltre che con i bassi livelli di vaccinazione (soprattutto degli anziani, perché sono state privilegiate le fasce in età produttiva, cioè più giovani e meno suscettibili – sic!), anche con un altro, fondamentale, dato di fatto: “la strategia cinese zero-COVID significa anche che la popolazione non ha quasi nessuna immunità acquisita naturalmente attraverso una precedente infezione”. Cioè l’uso massivo delle mascherine, i lockdown, i distanziamenti, le quarantene e tutte le altre balzane misure atte a ridurre la circolazione del virus tra gli immunocompetenti hanno impedito alla popolazione di immunizzarsi, in Cina come in tutti i paesi che ne hanno seguito l’esempio (Italia in testa); e, considerato che i vaccini cinesi (come i nostri) agiscono ben poco sui contagi, ciò significa che, con la nostra strampalata strategia di contrasto al virus fatta di tracciamento/contenimento e vaccinazioni a casaccio, non abbiamo ottenuto nulla, a parte l’aver inibito il meccanismo di resistenza più semplice e naturale (e ben collaudato da centinaia di migliaia di anni), in tal modo danneggiandoci da soli. Da qui la nostra seconda deduzione: la “strategia” italiana di lotta al COVID è stata (e rimane) del tutto fallimentare, irrazionale, controproducente.

Ecco quindi la vera notizia di questo inizio di 2023: che non è cambiato nulla dal 2020 in qua, che non abbiamo imparato alcunché dall’esperienza e che neanche quando la storia ci mette davanti al nostro fallimento siamo in grado di riconoscerlo. C’è poco da festeggiare…

  1. Chi volesse leggere in italiano i due articoli citati ai successivi punti 3 e 4, ne può leggere una traduzione alla buona cliccando qui. []

Si riscriverà la storia?

Consigliamo vivamente la visione della puntata di Report del 19/12/22, che contiene un’ampia ed approfondita inchiesta dal titolo La Pandemia Silenziosa che, come dice il conduttore Sigfrido Ranucci nell’introduzione, forse con un eccesso di fiducia, “riscriverà la storia della pandemia nel nostro paese”. Purtroppo il servizio è lungo, dura circa un’ora (comincia intorno al minuto 0:26:00 della trasmissione, -1:20:30 alla fine), ma è di estremo interesse e assicuriamo che vale la pena spenderci del tempo.

È inutile anticiparne qui i contenuti, ma vogliamo puntualizzare alcuni aspetti strettamente connessi alla “follia COVID” che, se avessimo avuto modo di vedere la trasmissione prima di pubblicare il libro, avremmo sicuramente citato.

  1. Nel libro, al capitolo 2.2, spieghiamo come la mortalità da COVID in Italia sia molto più alta di quella di altri paesi europei con caratteristiche analoghe alle nostre, così come l’eccesso di mortalità generale, per tutte le cause. L’inchiesta di Report (intorno al minuto 0:29, -1:17:30 alla fine) parla dell’enorme incidenza di infezioni ospedaliere antibiotico-resistenti tra i morti COVID, fornendo quindi una chiave di lettura interessante alla “stranezza” italiana. E dice che in Italia, prima del COVID, circa 15.000 persone all’anno (dato pesantemente sottostimato e nel servizio di Report si spiega perché, e tuttavia già il dato peggiore d’Europa) muoiono per infezioni contratte in ospedale: ebbene, durante la pandemia i numeri si sono moltiplicati di parecchie volte; e questo già basta a suggerire qualcosa. Ma ancora più interessante è l’elenco delle possibili cause, tutte riconducibili al panico generale e alla risposta disorganizzata e “creativa” italiana (denunciata anche dall’OMS – ne parliamo nel cap. 2.7 del libro):
    • eccesso di risposta ospedaliera e, di conseguenza, ospedali troppo pieni (forse è anche per questo che la Germania – dove è stata privilegiata la risposta territoriale in luogo di quella ospedaliera – ha registrato molti meno morti di noi?), condizione aggravata dalla cronica carenza di posti;
    • introduzione in emergenza di operatori poco formati;
    • utilizzo di Dispositivi di Protezione Individuale per i sanitari (i famosi “astronauti”) senza senso per una malattia che, negli under 65 in salute (come è chi lavora), non ha praticamente conseguenze e che si sono rivelati fonte di ulteriori gravi rischi (ne parliamo a pag. 169 del libro relativamente alle mascherine, ma il discorso vale per tutti i DPI);
    • totale mancanza di pianificazione sanitaria dell’emergenza e disposizioni scriteriate (tra cui la sospensione delle autopsie) (ne parliamo nel capp. 2.6 e 2.7 del libro);
    • totale mancanza di pianificazione di azioni a contrasto delle antibiotico-resistenze, anzi, nella generale carenza di protocolli di cura, addirittura sono stati massicciamente adottati comportamenti che le hanno favorite (cfr. successivi punti 4 e 5).
  2. La contabilità dei morti COVID in Italia è farlocca (ne parliamo diffusamente nel capitolo 2.2 del libro). Il Direttore Generale del Ministero della Salute Claudio D’Amario si esprime così (intorno al minuto 0:32 della trasmissione, -1:14:10 alla fine): “molti sono morti per la sepsi e non per il COVID. [Intervistatore:] Solo che ufficialmente sono morti per COVID. [D’Amario:] (…) C’è stato un problema metodologico, un problema che l’Istituto [Superiore di Sanità] doveva rivedere tutte le cartelle, ma era un lavoro disumano, quindi…” e conclude ammettendo candidamente: “se andassimo a fare una revisione, il 40% di quei decessi non ha nulla a che vedere col COVID”. È sufficiente ad attestare quale cura e attenzione sia stata riservata ai numeri della nostra pandemia? Gli stessi numeri sulla base dei quali sono state giustificate tutte le scelte scellerate degli ultimi tre anni?
  3. La questione dell’incidenza delle infezioni ospedaliere tra i morti COVID non è di poco conto. Nell’inchiesta di Report si cita uno studio (peraltro con molte limitazioni, ma non sottilizziamo) in cui si stima che il 19% dei morti COVID aveva infezioni batteriche contratte, nell’88% dei casi, in ospedale e con antibiotico-resistenze fino al 95%. E si dice anche che la cifra record italiana di 15.000 morti/anno (la quale, moltiplicata per tre anni, fa 45.000 morti, senza considerare l’effetto moltiplicatore dell’effetto COVID) si inserisce nella astronomica cifra mondiale di 1.300.000 morti/anno per batteri antibiotico-resistenti (che, se moltiplicata per tre anni, fa quasi 4 mln di morti, con qualche inquietante riverbero sulla cifra di 6,7 mln di morti COVID totali ad oggi…). Insomma, mi sa che la questione ha inciso non poco sui numeri della nostra pandemia…
  4. È del tutto evidente che l’Italia, oltre alla sostanziale assenza di un Piano Pandemico (ne parliamo diffusamente nei capitoli 2.6 e 2.7 del libro), ha scontato anche le carenze e la mancata applicazione del Piano Nazionale di Contrasto all’Antibiotico-Resistenza (PNCAR), nonostante le pesanti critiche che l’ECDC ha rivolto all’Italia a seguito di un’ispezione del 2017 ed un apposito stanziamento di 40 mln di euro per svilupparlo (Report lo racconta intorno al minuto 0:41 della trasmissione, -1:05:00 alla fine). Quello di non pianificare o di farlo solo con inutili supercazzole senza alcuna concretezza e solo sulla carta, è un vizio tutto italico…
  5. La “tempesta perfetta” costituita dalla sovrapposizione tra COVID e infezioni nosocomiali antibiotico-resistenti non è stato un dato “di natura”, ma, come detto al punto 1, il frutto di una serie di errori, inerzie, disorganizzazioni, errati comportamenti1. Tra questi ultimi spicca il massiccio utilizzo di antibiotici per curare il COVID (Report fa l’esempio dell’azitromicina che ha registrato un aumento delle prescrizioni del 230%), “nonostante sin dal primo anno alla facoltà di medicina insegnino che i virus non si curano con gli antibatterici” (se ne parla intorno dal minuto 1:01:00 della trasmissione, -0:45:00 alla fine). Quindi, oltre a “tachipirina e vigile attesa”, anche “antibiotico e vigile attesa”. E non si sa cosa sia stato peggio, visti i risultati…
  6. Il bello è che la questione degli antibiotici è davvero surreale (Report ne parla intorno al minuto 1:17:00 della trasmissione, -0:29:00 alla fine). Sono trent’anni almeno che l’industria farmaceutica non sviluppa più antibiotici, mentre i nostri comportamenti dissennati ne richiederebbero con estrema urgenza (un’esperta intervistata al minuto 0:38:00, -1:07:30 alla fine, dice: “potremmo arrivare ad una situazione in cui il paziente avrà debellato il tumore, ma morirà post-chemioperapia o post-trapianto, per un’infezione resistente agli antibiotici: la fine della medicina moderna”). Su questo tema non c’è traccia della grande e luminosa esperienza, da tutti lodata, di concorde ricerca finalizzata al bene comune e alla salvaguardia della specie umana messa in atto per produrre i vaccini COVID a tempo di record. Perché? Semplice: con gli antibiotici non si guadagna. Niente a che vedere con i colossali ricavi dai vaccini (lo accenniamo anche nel libro, a pag. 266). Ma, nell’inerzia delle istituzioni, le case farmaceutiche (insieme alle onnipresenti fondazioni private come quella di Bill Gates e con la benedizione della tutt’altro che indipendente OMS) si ritagliano anche una patente di “buoni”: “Nel 2020 le multinazionali del farmaco hanno lanciato un fondo: Action Found. Prevedono di investire 1 miliardo di euro in 10 anni su promettenti start-up con farmaci in fase avanzata di sperimentazione, per sviluppare 4 nuovi antibiotici entro il 2030.” Insomma, piccole realtà, intraprendenti ma senza risorse, lavorano nel campo degli antibiotici abbandonato dalle grandi case farmaceutiche, mentre queste stanno tranquille a guardare: che importa se ci vorranno altri dieci anni? Ah, a proposito, da qui al 2050 si stima che i morti nel mondo per antibiotico-resistenza arriveranno fino a 10 milioni all’anno. E non saranno solo vecchietti ultraottantenni e molto malati a farne le spese. Varrebbe la pena sforzarsi un po’ di più, come abbiamo fatto per il COVID?
  7. Facciamo, giusto per la cronaca, anche due conti sui soldi. Nel servizio di Report si citano i 40 mln di euro stanziati dal Ministero della Salute per cominciare a lavorare sul PNCAR (cosa mai fatta), i 360 mln di euro stanziati per il programma CARB-X (Combating Antibiotic-Resistant Bacteria) da Bill Gates insieme a soldi pubblici di USA, UK e Germania, il 1 mld di euro in 10 anni stanziato da Big Pharma per il programma Action Fund. Nel nostro libro, a pag. 94, noi facciamo un piccolo “conto della serva” e ci accorgiamo che in Italia, per fare 223 milioni (al 17/6 scorso, oggi molti di più) di tamponi al fine di tracciare i contagi e contenere il virus (obiettivi che sappiamo impossibili da realizzare), abbiamo speso inutilmente 8,36 mld di euro. E, lo ripetiamo, questo solo in Italia. La quale, invece che essere l’esempio mondiale del panico, dei lockdown e delle discriminazioni vaccinali (che non hanno salvato nessuno, anzi), ha avuto in mano le risorse per diventare il faro mondiale nella ricerca sugli antibiotici e contribuire a salvare – per davvero – milioni di vite nel mondo.
  8. E, per concludere, qualche piccola nota di costume. Al minuto 0:37 (-1:09:00 alla fine) si vedono immagini di un laboratorio di analisi italiano, in cui tutti operano mascherati (compresi intervistato e intervistatore), spesso anche col solito vizio del naso non coperto; al minuto 1:19:00 (-0:27 alla fine) si vedono invece le immagini di un laboratorio farmaceutico francese, in cui nessuno porta alcuna protezione respiratoria e, men che meno, intervistato ed intervistatore. Ora, pur nella consapevolezza che si tratta di contesti laboratoriali diversi tra loro, la discrepanza tra i due approcci dà comunque un po’ da pensare o no? Per non parlare degli assurdi protocolli ancora vigenti negli ospedali italiani (sebbene non vi sia più un obbligo di legge) per cui è praticamente impossibile andare a visitare un malato per portargli un po’ di conforto (aspetto che – nessuno se lo ricorda più, ormai – fa parte integrante della “cura” del malato): precauzioni che, alla luce di quanto fin qui detto, risultano senza alcuna ratio dal momento che, a quanto pare, se i ricoverati si prendono una malattia in ospedale ciò avviene per causa dell’ospedale stesso e dei suoi operatori e non certo per colpa dei visitatori…

Basta così. Che queste notizie possano riscrivere la storia della pandemia nel nostro paese ne dubitiamo, anche se, in un paese normale, ce ne sarebbe ben donde. Intanto proviamo a tenerci informati e consapevoli, per il resto speriamo nei posteri. Buona visione.

  1. Un frutto neanche tanto ignoto: accadde qualcosa di simile con la Spagnola del 1918; ah già, ma per il nostro Ministro “non c’erano modelli o precedenti utili su cui fare affidamento”… []

Presentato ufficialmente il libro

Il libro è stato finalmente presentato e a giorni sarà in vendita nei principali store on-line e ordinabile in libreria. Abbiamo passato un piacevole pomeriggio con un bel gruppo di persone, avendo anche un ricco scambio di idee, nonostante i tempi ristretti. Speriamo che gli intervenuti siano rimasti contenti (o, almeno, che non si siano annoiati troppo).

Diversi sono stati gli argomenti trattati durante la discussione, ma, dato il poco tempo a disposizione, forse alcune risposte sono rimaste un po’ indietro e non vogliamo lasciarle cadere.

  1. Ci è stato “rimproverato” di non prendere posizioni sulla controversa questione dei vaccini. Neanche nel libro, pur avendo dedicato ai vaccini una sezione molto ampia, abbiamo preso una posizione (anche se magari, personalmente, ne abbiamo), perché è una vicenda complessa, difficile da dirimere con le poche competenze che abbiamo e per l’oggettiva difficoltà di valutare l’attendibilità e la solidità delle diverse ipotesi in campo. Abbiamo perciò pensato che, quali che siano le posizioni di chi legge, ciò che noi potevamo fornire era la lettura attenta dei numeri ufficiali e dei dati noti, disvelandone, se del caso, le letture opache, superficiali, opportunistiche che spesso se ne danno, e puntualizzando i pochi punti fermi che invece ci sono e sono inoppugnabili; in alcuni casi abbiamo anche “forzato” un po’ questa impostazione, riportando opinioni e studi di persone competenti le cui argomentazioni (documentate e da noi approfondite) ci hanno convinto. Dopo di ché, ognuno confronterà liberamente quanto ha letto con le proprie convinzioni e deciderà come crede. Del resto anche noi abbiamo fatto così: avevamo delle domande e dei pre-giudizi, abbiamo letto i dati e da questi abbiamo tratto le risposte alle nostre domande e – a volte confermandoli, più spesso confutandoli – ai nostri pre-giudizi.
  2. È stato accennato il tema del Long COVID. Nel libro ne parliamo diffusamente (da pag. 86) e concludiamo che si tratta ancora di un’ipotesi e, col passare del tempo ed il succedersi degli studi, neanche più tanto attendibile. Ma nel libro evidenziamo anche come si tratti di un interessante esempio, “emblematico di come la scienza sia fallace e spesso contraddica se stessa. Ma quello che una volta era un progresso ottenuto anche per confutazione, oggi, nell’era del radicalismo scientista, si perde nell’oscurantismo ideologico”. Suggeriamo a chi ha posto la questione durante l’incontro di leggere quelle pagine.
  3. Tra i presenti serpeggiava, giustamente, una considerazione: “ok, tutto vero, ma ormai cosa ci interessa più? Quello che è stato non può essere cambiato, ma ormai, grazie al cielo, ci siamo messi tutto alle spalle: perché continuare a parlarne?”. Hanno ragione, purtroppo ormai quello che è fatto è fatto, e se comprendere meglio ciò che abbiamo passato dovesse servire solo alla sterile soddisfazione di attribuire colpe e responsabilità o per giudizi storici ancora di là da venire, sarebbe inutile parlarne. Ma il problema, dopo quasi tre anni, è ancora concreto e urgente: la follia non è ancora finita e, quello che è peggio, sulla “trionfale esperienza COVID” è costruito il nuovo Piano Pandemico italiano, cioè ciò che abbiamo intenzione di fare in futuri simili frangenti (ne parliamo nella parte 4 del libro). Ecco perché vale la pena non lasciare cadere la questione, anche se abbiamo il comprensibile desiderio di non parlarne più: perché forse non guariremo…

Arriva il libro!

Il 3 dicembre prossimo, alle ore 16,30 presso il Centro Sociale “1° Maggio” (di fianco al C.V.A.) di Ponte San Giovanni – Perugia, si svolgerà la presentazione del libro “Perché forse non guariremo – Quando un virus fa il salto di specie infettando la politica, la scienza, l’informazione”. Interverranno gli autori ed alcuni ospiti. La cittadinanza è invitata.

La fiera delle falsità

Ossequiando il saggio Hammurabi, Walter Ricciardi ritiene di dover applicare anche oggi l’antico principio dell’ “occhio per occhio” declinandolo in un moderno “balla per balla”, col quale ha inteso rispondere, dalle pagine di Repubblica, a quanto detto dal Presidente del Consiglio nell’ultima conferenza stampa (dal minuto 42.00 al 44.00, per chi la vuole ascoltare), parole che l’articolo definisce “bugie” e che, per quanto ci riguarda (pur con la morte nel cuore, per alcuni di noi), non possiamo che quasi integralmente approvare. E ciò non sulla base di una acritica presa di posizione ideologica, ma a partire dai dati che, chi legge questo blog e/o il nostro libro, ormai ben conosce. Proprio per questo confidiamo che anche solo la lettura attenta dell’articolo di Repubblica (se riuscite a non vomitare già al titolo e sottotitolo) vi sia sufficiente a cogliere le innumerevoli inesattezze e forzature che esso contiene (per la precisione si dovrebbero definire “stronzate”, ma cerchiamo di evitare i tecnicismi), la cui disamina puntuale richiederebbe molto tempo (e molta voglia, che non abbiamo più). Limitiamoci, perciò, alle balle più macroscopiche.

E cominciamo col dire che la Meloni, affermando che “l’Italia è il Paese [in realtà ha detto “uno dei paesi“, ma va beh – n.d.r.] che ha avuto più morti di Covid pur applicando le misure più pesanti di tutti“, non ha affatto detto una balla; ha fatto, certo, un discorso generico e senza portare dati a supporto, ma noi, che i dati li conosciamo, sappiamo che ha ragione (ne abbiamo parlato molte volte, ad esempio qui e nel capitolo 2.6 del libro).

Invece Ricciardi e l’articolista di Repubblica, nel cercare di sconfessare questo “tipo di narrazione molto cara anche al mondo No Vax ma che è falsa”, quanto a balle non si sono risparmiati. “«Non è affatto vero quel che dice il governo», spiega Walter Ricciardi, igienista della Cattolica e già consulente di Speranza. «I dati rivelano che nel 2020, anno nel quale siamo stati investiti per primi dalla pandemia, siamo stati quinti al mondo per numero di decessi ogni 100 mila abitanti, dietro a Paesi come Perù e Belgio”. Se invece si osserva il 2021 “siamo al 53° posto. E questo è successo anche se la popolazione italiana è più anziana al mondo, e quindi più fragile ed esposta a un virus di questo tipo”. I numeri del 2021 sarebbero legati agli effetti delle chiusure e in generale delle politiche anti Covid adottate dal nostro Paese nel 2020, il primo ad affrontare la pandemia. (…) Ricciardi cita i numeri di una pubblicazione della stessa Cattolica, a firma di Michela Garlaschi.

Ovviamente siamo andati a vedere questa pubblicazione, la quale in effetti riporta alcuni dati (niente di eclatante, per la verità), ma, proprio perché tali dati non sono del tutto univoci, non si avventura nelle demenziali interpretazioni di Ricciardi e Repubblica i quali, per il loro scopo, scelgono bene solo quelli che fanno loro comodo. Si veda ad esempio questo grafico, contenuto nella stessa pubblicazione che intervistato e giornalista sembrano aver letto:

Qui si vede che, tra i 26 “paesi avanzati” considerati, l’Italia nel 2020 (linee blu) era al 2° posto nella poco invidiabile classifica dei morti Covid per 100.000 abitanti, mentre nel 2021, cioè non solo dopo le misure, ma anche dopo l’avvento dei vaccini (linee gialle), era al 5° posto. Si noti, inoltre, che l’Italia, tra il 2020 e il 2021, nonostante dette misure e vaccini, non ha fatto tutto questo grande progresso (passando da 123 a 107 morti per 100.000 abitanti) e che, tranne pochi casi (Belgio, che forse ha semplicemente smesso di contare i morti generosamente, Spagna, Svizzera e Svezia), in generale nessuno dei paesi avanzati considerati ha registrato performances migliori nell’anno dei vaccini rispetto al precedente, circostanza che peraltro sarebbe confermata un po’ in tutto il mondo, come si evince dal grafico successivo (che qui riportiamo, ma che prendiamo con le pinze perché è talmente pazzesco da farci sospettare un refuso di stampa):

Ricciardi dice il vero, invece, quando afferma che, nel 2021, l’Italia si pone al 53° posto della classifica internazionale (cioè quella che comprende tutti i paesi del mondo, a prescindere dalle loro condizioni economiche, demografiche e di qualità dei sistemi sanitari, quindi una classifica di scarso significato), ma dimentica di far notare che i numeri italiani rimangono – inspiegabilmente – ben peggiori di quelli dei paesi suoi simili (Germania, Francia, Spagna, Austria, Svezia, Olanda, Giappone, etc. – questo sì un dato significativo):

Insomma i numeri italiani del 2021 non sono così migliori di quelli del 2020, né in generale sono migliori di quelli di altri paesi simili, eppure secondo Repubblica “i numeri del 2021 sarebbero legati agli effetti delle chiusure e in generale delle politiche anti Covid adottate dal nostro Paese nel 2020”; peggio ancora, secondo Ricciardi “avremmo potuto certamente fare meglio, ma con misure ancora più dure, non più morbide. Ad esempio quelle che hanno adottato Germania e Francia, che hanno fatto lockdown nazionali molto più tempestivi e prolungati di noi: è anche falso, quindi, che noi abbiamo adottato misure più dure degli altri”. Ci sfugge qualcosa?

Andiamo a vedere lo Stingency Index di Our World in Data (sito peraltro citato, a sproposito, anche dallo stesso articolo) e mettiamo a confronto i dati del Containment and Health Index (definito come “misura composita basata su tredici indicatori di risposta politica, tra cui chiusure di scuole, luoghi di lavoro, divieti di viaggio, politiche sui test, tracciamento dei contatti, mascherine per il viso e politiche sui vaccini ridimensionate a un valore da 0 a 100” dove 100 rappresenta il livello più restrittivo) di Italia, Germania e Francia, per capire se Ricciardi, per caso, ha ragione:

No, non ci sfugge niente, si tratta proprio di un’altra colossale balla, perché Germania (linea viola) e Francia (linea beige) hanno applicato politiche mediamente meno restrittive delle nostre (linea blu).

Infine, la conclusione del ragionamento di Ricciardi è pienamente coerente con le falsità già dette: “Sia il governo Conte che il governo Draghi hanno sempre posto l’evidenza scientifica alla base delle decisioni, facendosi supportare da Istituto superiore di sanità, Consiglio superiore di sanità e due Cts, dove c’erano scienziati e medici tra i più rilevanti e qualificati del Paese. Nel primo c’erano clinici di alto livello nel campo della pediatria, della geriatria, dell’anestesia, della pneumologia, dell’infettivologia. Non mi pare altrettanto basata sull’evidenza scientifica la decisione di riammettere il personale sanitario No Vax in grado di trasmettere l’infezione alle persone più fragili, in ambienti in cui il rischio dovrebbe essere minimizzato e non amplificato.” Sorvolando sulla prima parte, talmente ridicola da essere incommentabile, ecco l’ultima balla sparata da Ricciardi, degna chiosa al delirante articolo: chi si vaccina non trasmette il virus, mentre chi non si vaccina sì. Ne abbiamo parlato un milione di volte (l’ultima qui) e non sappiamo più come dirlo, ma anche i muri ormai sanno che il vaccino è utile per prevenire la malattia grave ma non ha alcun effetto sui contagi (e neanche chi lo produce lo ha mai studiato a questo scopo); ma tanto non serve a niente, se in questi stessi giorni, la stessa balla l’abbiamo dovuta subire non solo da Ricciardi, ma anche da Galli che parla del “dovere di tutelare i propri pazienti, evitando di esporli ad infezioni che possono essere prevenibili nel personale sanitario”, nonché, con diversa accezione, da Crisanti (“se leviamo la multa a quelli che non si sono vaccinati, dovremmo premiare quelli che si sono vaccinati”) e Bassetti (“è uno schiaffo pesante al 95% degli italiani che si sono vaccinati. Ed è un altrettanto schiaffo al 99,3% dei medici italiani che si sono vaccinati. Perché è come dire ‘siete dei cretini, hanno fatto bene quelli a non vaccinarsi’.”) i quali praticamente dicono che vaccinarsi è stato un atto eroico (cioè rischioso? Ma non era un argomento no-vax?) a protezione della società e non semplicemente un atto medico a protezione di chi si è vaccinato (che, da che mondo è mondo, è lo scopo di qualunque vaccinazione; la cosiddetta “immunità di gregge”, cioè la protezione dei pochi non vaccinabili per mezzo dei molti vaccinati, è solo un effetto secondario e, tendenzialmente, di lungo periodo, comunque non perseguibile con i vaccini Covid).

Come detto altrove, anche noi, sul tema Covid, aspettiamo al varco il nuovo governo (che per ora, al di là degli encomiabili annunci, non ci ha impressionato granché nella pratica), ma basta balle, per favore, non se ne può più…

Le bare di Bergamo

C’è una questione che nel libro non abbiamo affrontato, ma avremmo dovuto, perché è uno degli snodi essenziali della narrazione pandemica, nonché uno degli “argomenti” più usati (e più odiosamente, vista la delicatezza del tema) per dare addosso ai cosiddetti “negazionisti”: le bare di Bergamo. Proprio per non abbassarci al livello di chi usa ed ha usato questo tragico episodio con intenti strumentali (dall’una e dall’altra parte della ridicola barricata), ci siamo astenuti dal parlarne; ma abbiamo sentito in questi giorni tirare di nuovo fuori la questione (e, come sempre, in modo funzionale, stavolta per tirare le orecchie alla neo-Presidente del Consiglio), per cui ci siamo decisi a studiarci un po’ sopra. Proponiamo qui le cose che abbiamo capito.
Il fatto è noto, assurto agli onori della cronaca durante l’allucinante e allucinato lockdown italiano del marzo-aprile 2020: nella notte tra il 18 e il 19 marzo 2020 alcuni camion militari, scortati dai Carabinieri, trasportano 65 bare di deceduti a causa del Covid-19 dal cimitero di Bergamo, dove il ritmo delle cremazioni non poteva essere più sostenuto, ad altre strutture crematorie in giro per il Nord Italia; sarà il primo di molti altri, come si può leggere in un equilibrato racconto fatto “a bocce ferme” qualche mese dopo. Vicenda tutto sommato abbastanza semplice e ordinaria, un trasporto di salme che, in tempi normali, sarebbe stata fatta con normali carri o furgoni di agenzie di pompe funebri ma che in quel periodo, per l’alto numero di decessi e per le restrizioni Covid, tali agenzie non erano in grado di svolgere, per cui si decise di utilizzare mezzi e personale militare (come anche in altre occasioni emergenziali si era fatto). Tuttavia l’immagine fa il giro del mondo e contribuisce non poco al diffondersi del panico, non solo in Italia (alcuni esempi, qui e qui); e la vicenda, amplificata dal racconto emozionale dei media (altri esempi qui e qui) e caricata di significati dalla narrazione istituzionale e popolare, diventa ben presto un emblema inossidabile della tragedia che ci ha colpito, a tal punto che la data del 18 marzo sarà addirittura proclamata “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia di coronavirus”, celebrata anche nell’anno in corso.
Tuttavia, se si cerca di approcciare l’argomento con uno spirito più laico e meno emozionale (e in tal modo, secondo noi, anche con maggiore rispetto per chi ne ha sofferto), ci si accorge che l’evento è sì emblematico, ma non tanto (o solo) della tragedia, quanto piuttosto della assurdità della nostra risposta alla pandemia, dell’isteria e del panico ai quali ci siamo abbandonati in quel disgraziato frangente, della disorganizzazione e improvvisazione che abbiamo messo in campo in assenza di un adeguato piano pandemico (che dovevamo avere da almeno un decennio e che invece non avevamo).
Per spiegarci partiamo proprio da un Piano Pandemico, ma non il nostro, quello inglese datato 2011 (e vigente allo scoppiare della pandemia di SARS-CoV-2) il quale, sull’argomento della preparazione ad un atteso aumento della mortalità, a pag. 17 afferma quanto segue: “quanto ai decessi, l’analisi rimane che fino al 2,5% delle persone con sintomi morirebbe a causa dell’influenza se nessun trattamento si rivelasse efficace. Ci si potrebbe aspettare che queste cifre vengano ridotte dall’impatto delle contromisure, ma l’efficacia di tale mitigazione non è certa. Tuttavia la combinazione di tassi di attacco particolarmente elevati e una malattia grave è relativamente (anche se non sappiamo quanto) improbabile. Tenendo conto di ciò e della praticabilità dei diversi livelli di risposta, quando si pianificano le morti in eccesso, i pianificatori locali dovrebbero prepararsi ad estendere la capacità su base precauzionale ma ragionevolmente praticabile e mirare a far fronte a un tasso di mortalità della popolazione fino a 210.000 – 315.000 ulteriori decessi, possibilmente in un periodo minimo di 15 settimane e forse la metà di questi in tre settimane al culmine dell’epidemia. Circostanze più estreme richiederebbero che la risposta locale fosse combinata con altri sostegni a livello nazionale.
Sorvoliamo sul fatto che, secondo tale pianificazione, né in Gran Bretagna (che dopo le prime 15 settimane aveva avuto circa 40.000 morti di COVID-19) né in Italia (che nello stesso periodo ne aveva avuti 35.000, con un eccesso totale rispetto alla media degli anni precedenti di 51.000 morti) si sono mai raggiunti i livelli di mortalità in eccesso che, secondo il piano pandemico inglese, ci si potrebbe aspettare ragionevolmente durante un’influenza pandemica per la quale non esistesse trattamento efficace e che provocasse la morte del 2,5% di coloro che la contraggono (è il tasso di letalità che, per il Covid-19, si è attestato ben al di sotto dell’1%). Andiamo invece ad analizzare nel dettaglio i parametri proposti dal piano pandemico inglese (in assenza di un analogo italiano) e confrontiamoli con la situazione verificatasi a Bergamo ed in Lombardia in quei giorni di passione.
Il piano inglese specifica:
1) innanzitutto che la situazione descritta sia da prevedersi (come scrivono P. Stanig e G. Daniele nel loro ottimo Fallimento Lockdown, Ed. Bocconi, 2021 a pag. 18) “sotto l’assunto che alla pandemia si risponda con le misure contenute nel piano. Sono perciò stime del numero dei morti nonostante le misure anti-pandemiche contenute nel piano, non del numero di morti se non si fa niente”;
2) che la pianificazione per questo pur alto livello di mortalità in eccesso va fatta a livello delle istituzioni locali, le quali devono attrezzarsi opportunamente; solo nel caso di “circostanze più estreme” tale azione locale andrebbe supportata da altre azioni a livello nazionale;
3) che questa pianificazione locale deve essere ragionevolmente praticabile e mirata ad affrontare un eccesso complessivo di mortalità di 210-315.000 unità (per un paese di 67 mln di abitanti) nelle prime 15 settimane di pandemia (circa 3 mesi e mezzo, 105 giorni), con la metà di questo eccesso concentrato nelle 3 settimane di culmine; quindi parliamo di un eccesso di 30-45 morti al giorno per milione di abitanti nelle 15 settimane, e di un eccesso di 75-112 morti al giorno per milione di abitanti nelle 3 settimane di culmine. Per la cronaca, questo è lo scenario che, nel piano, si considera ragionevole aspettarsi; quello peggiore, secondo il documento guida del 2008 (basato sull’analisi delle pandemie del XX secolo) che sta alla base della pianificazione pandemica, prevedrebbe di prepararsi ad un eccesso di mortalità di 750.000 morti nelle prime 12-15 settimane (cioè fino a 133 morti al giorno per milione di abitanti e fino a 267 nelle 3 settimane di picco).
Andiamo ora a vedere i dati della Lombardia (10 mln di abitanti), della provincia di Bergamo (1,2 mln) e del comune di Bergamo (0,12 mln), calcolati da noi sulla base dei dati ISTAT e riassunti nelle due seguenti tabelle:

Quindi, se Bergamo e la Lombardia fossero stati rispettivamente una città ed una contea inglesi, anche nel momento peggiore della pandemia si sarebbero ritrovate ben organizzate nel far fronte alla situazione, senza trovarsi nell’incapacità di gestire i servizi cimiteriali, senza dover accumulare le bare, senza dover esportare i defunti per la cremazione, senza trovarsi a corto di personale e strutture tanto da dover mobilitare l’Esercito.

Si deve altresì notare che, tra i principi cardine del piano pandemico inglese, sono contemplati due aspetti considerati basilari ed ineliminabili anche in una situazione di estrema emergenza:

  • i funerali e i servizi cimiteriali devono essere sempre assicurati e con la massima cura (“misure e modalità di lavoro introdotte per gestire il defunto dovrebbero garantire il mantenimento di un adeguato livello di dignità e rispetto; le persone in lutto dovrebbero essere trattate con cura e compassione e i loro desideri per il defunto dovrebbero essere rispettati ove possibile” – Documento Gestire il defunto durante una pandemia, marzo 2020);
  • non si dovrebbe usare il personale militare per gestire attività durante una pandemia (“I piani di resilienza pandemica non dovrebbero (…) presumere che le unità militari locali forniscano supporto o dispongano di personale con le competenze o le attrezzature necessarie per svolgere compiti specialistici. Laddove la capacità civile o la capacità di fornire un servizio essenziale sia superata a causa di una pandemia, e se tutte le altre opzioni per fornirlo sono state esaurite, il Ministero della Difesa tenterà di fornire assistenza attraverso i normali processi, se ha adeguate risorse disponibili”).

Un po’ diverso da quello che abbiamo fatto in Italia in generale e a Bergamo in particolare…

Al termine di tutta questa lunga analisi sorgono, perciò, alcune considerazioni e domande.

La prima è la più semplice e l’abbiamo già evidenziata: è stata l’assenza di un piano pandemico degno di questo nome a farci cadere nel panico e a costringerci, nella generale impreparazione e disorganizzazione, ad adottare soluzioni estreme, non la straordinaria gravità della pandemia. E che tale gravità della situazione possa essere stata anche (almeno in parte) generata dalle nostre azioni sconsiderate è più che un’ipotesi (si pensi ad esempio alla surreale vicenda delle RSA del bergamasco, dove si è verificato oltre il 20% dell’eccesso di mortalità totale del primo semestre 2020, vicenda oggetto di indagini della magistratura e ben raccontata da questo articolo di Altreconomia).

La seconda è che, sebbene sia evidente che su Bergamo c’è stato un impatto di mortalità in eccesso decisamente importante nel mese di marzo 2020, la situazione in Lombardia non è mai stata realmente critica: era impensabile cercare di ridurre il peso sui territori in difficoltà ripartendolo tra i territori limitrofi che soffrivano di meno?

La terza riguarda la cremazione dei cadaveri, per la quale il cimitero di Bergamo ha una capacità di 30 salme al giorno, ben al di sotto delle 150-200 necessarie in quel periodo di picco, di qui la scelta di trasferire le salme presso altri crematori (anche con lunghi viaggi, perché tali strutture non sono così diffuse). La domanda, quindi, sorge spontanea: perché mai si dovevano cremare tutti i morti? Perché non si è cercata la soluzione più semplice, cioè quella di approntare magazzini (di sicuro i capannoni sfitti non mancano nell’industriosa provincia lombarda) per lo stoccaggio delle bare, in attesa della normale sepoltura, anche a settimane di distanza (così come ad esempio previsto esplicitamente nella pianificazione inglese)? E, oltre alle grandi difficoltà gestionali riscontrate, quanto dolore sarebbe stato risparmiato in tal modo alle famiglie dei defunti?

La quarta riguarda la spettacolarizzazione della grave situazione bergamasca. Non vogliamo dire che tale spettacolarizzazione sia stata ricercata o voluta, ma che essa si sia verificata è un fatto e che non si sia avuta abbastanza cura nell’evitarla è altrettanto evidente. Basta guardare i video e le foto apparsi sui media che abbiamo linkato sopra (quello della BBC con la cronaca di Severgnini che dice di “non voler spaventare nessuno” è esemplare): perché organizzare un corteo notturno per le strade deserte? Come si fa a sperare di non essere notati? Perché invece non effettuare i trasferimenti un camion per volta, di giorno, senza le scorte dei Carabinieri (peraltro inutili data l’assenza di traffico) a sottolinearne la straordinarietà? E qualcuno ha avuto anche il coraggio di dire che “organizzammo di sera il primo trasferimento il 18 marzo perché volevamo fare meno clamore possibile”… (ma si legga tutto l’articolo da cui è tratta la citazione, perché è un susseguirsi di racconti agghiaccianti fino all’ultima frase).

La quinta e ultima considerazione è la più elementare di tutte: se una certa delimitata porzione del nostro territorio nazionale si trovava in una situazione di emergenza (e vogliamo prescindere da quanto detto sopra riguardo alle cause praticamente “autoinflitte”), perché mai si è deciso di mettere in lockdown tutto il territorio nazionale (in cui non c’era alcuna emergenza) invece che solo la porzione che se ne sarebbe giovata, producendo in tal modo su larga scala danni di cui non abbiamo ancora piena contezza, senza ottenerne alcun beneficio? Poteva valere l’assurda considerazione che il ministro Speranza propone nel suo libro fantasma Perché guariremo (Feltrinelli, 2020)? Citiamo testualmente da pag. 114: “abbiamo forse sottovalutato l’impatto emotivo di una misura così radicale [il lockdown localizzato alla zona rossa del Nord Italia, disposto il 7 marzo – n.d.r.]. (…) L’impressione di un Paese che si sta spaccando sulla paura del contagio è molto forte. Ci accorgiamo in poche ore che l’unica strada è estendere le misure all’Italia intera. Non si può lasciar pensare agli italiani che ci siano regioni dove ‘si sta meglio’.” Cioè meglio far stare male tutti, invece che solo alcuni, per non fare discriminazioni, in una sorta di “mal comune, mezzo gaudio”? Un vero nonsenso…

Quindi sì, le bare di Bergamo ci interpellano ancora oggi. E le risposte non sono facili (o lo sono troppo).

Il buffetto del padrone

Nel blog e nel libro abbiamo più volte parlato del ruolo dell’informazione in uno stato democratico di stampo liberale (come dovrebbe essere il nostro), cioè quello di essere il cosiddetto quarto potere, vitale per l’equilibrio della vita democratica, la quale è fondata proprio sul bilanciamento e l’indipendenza dei poteri (gli altri tre, tutti in mano allo stato, sono il potere legislativo che appartiene al Parlamento, quello esecutivo in capo al Governo e quello giudiziario esercitato dalla Magistratura). Lo scopo di tale bilanciamento è fare in modo che la maggioranza non prevarichi la minoranza, quello dell’indipendenza è di evitare saldature improprie tra i poteri come avviene nelle dittature. In questo quadro assume un’importanza fondamentale l’informazione per la quale, non a caso, nella cultura anglosassone è stato coniato il termine watchdog journalism, cioè “giornalismo cane da guardia” della democrazia, in quanto esercita il quarto potere facendo le pulci (e senza sconti, senza connivenze) agli altri tre.

Tenendo presente tutto questo, cosa avremmo dovuto aspettarci di sentire dal Presidente del Consiglio nel suo saluto (peraltro non necessario, ma va beh) ai giornalisti? Qualcosa del tipo: “Vi saluto e vi ringrazio perché in questi mesi mi avete fatto vedere i sorci verdi, avete sezionato e criticato tutte le cose che abbiamo fatto, ci avete incalzato e sferzato dando voce alle opinioni contrarie alle nostre, ci avere chiesto conto di tutto quello che abbiamo detto e fatto.” Invece no.

Per averne contezza potete leggere il “dolcissimo” resoconto fatto su Repubblica da uno dei giornalisti che il Presidente del Consiglio “ha invitato per un saluto nella sala verde di Palazzo Chigi”, prima di “un brindisi con lo staff allargato della presidenza del Consiglio (c’è anche il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio) e uno con i più stretti collaboratori.” E già questi accostamenti qualcosa suggeriscono.

Ma le parole che Draghi pronuncia sono esplicite: “in questi 20 mesi, tra pandemia, guerra e crisi energetica, avete svolto un servizio straordinario ai cittadini aiutandoli a seguire e comprendere ciò che avviene. Un servizio straordinario anche per la democrazia italiana. Voi, stampa libera, avete avuto dal presidente del Consiglio, da me, il rispetto che si deve alla stampa libera, rispondendo alle domande nel modo più chiaro possibile. (…) È stata una collaborazione piacevole anche dal punto di vista umano. Nessuno si aspettava che avremmo fatto tante conferenze stampa che duravano ore indefinite.

La luna di miele tra il secondo ed il quarto potere (nel compiacente sonno profondo del primo e del terzo) si chiude amabilmente tra sorrisi e battute di spirito, come la simpatica boutade sulla foto di Mussolini (giusto per stemperare, con un po’ di democraticismo d’accatto, il clima encomiastico dell’incontro col Principe).

Intanto Reporter Sans Frontières ci ha messo anche per il 2022 in bassa classifica, al 57° posto (tra gli ultimi in Europa) nell’indice della libertà di stampa, una condizione che la mappa mondiale qui a lato mostra in tutta la sua impietosa evidenza.

(Crediti immagine – Karte: NordNordWest, Lizenz: Creative Commons by-sa-3.0 de)

Dai nostri giornali e media, dopo due anni in cui hanno fatto (tranne pochissimi casi) non solo da semplici casse di risonanza del governo, ma anche da convinti strumenti di propaganda attiva, ci vorremmo aspettare del sano ravvedimento ed il riappropriarsi, pur in extremis, del loro ruolo di cane da guardia, feroce e indomito. Invece, ancora una volta, paghi di aver dato spettacolo e incantato il pubblico assetato di emozioni (un esempio tra i tanti? Guardate questa – peraltro utile – pagina del serissimo “Sole 24 Ore”), accettano il buffetto del padrone e grati se ne tornano a cuccia.

La discesa

Avevamo concluso il post precedente dicendo che non c’è nulla di nuovo. Beh non è del tutto esatto: l’inedito approccio italico al COVID gestito con la logica della lotta a qualunque costo, compreso l’annullamento dei più elementari diritti costituzionali in nome di una fantomatica salute biologica, ha creato – come più volte paventato in questo blog – un precedente inquietante e pericoloso, potenzialmente foriero di vulnera gravi e virtualmente illimitati alla nostra vita democratica, come acutamente (e più incisivamente di noi) denunciava anche questo volantino che, mesi fa, tappezzava i muri di Roma.

È questa, infatti, l’impressione che ci ha fatto il leggere, nel programma della forza politica che ha vinto le ultime elezioni italiane, il proponimento di rafforzare “la medicina predittiva con un meccanismo di premialità nell’accesso al sistema sanitario per chi segue un regolare e concordato percorso di monitoraggio dello stato di salute”.

Fa specie leggere, all’interno di un programma in materia sanitaria che, al di là delle logiche di appartenenza politica, non possiamo che, in linea generale (e segnatamente sul COVID), condividere, un simile scivolamento verso lo stato etico, uno stato “morale” che stabilisce chi ha diritti e chi no. Fa specie, ma non stupisce, dopo che la parte politica opposta, al governo negli anni della pandemia, ha sdoganato tale nefasto (e anticostituzionale) principio con l’istituzione del green-pass all’italiana (più tardi addirittura super-green-pass), un abominio grazie al quale il cittadino virtuoso, che segue tutti i dettami scientifici assunti dal governo di turno come norma imperativa, è premiato col mantenimento del diritto a lavorare, istruirsi, muoversi liberamente, mentre chi dissente (ad es. esercitando il diritto – umano, prima ancora che costituzionale – a non sottoporsi ad un trattamento sanitario) diventa automaticamente un paria e viene perciò punito, con la privazione di quegli stessi fondamentali diritti. E, quello che è peggio, tutto ciò in nome di un principio oltremodo opinabile – ed anzi, per sua stessa natura, confutabile – come quello della scientificità, in questo caso della posizione governativa (non dimentichiamoci che anche le famigerate leggi razziali del 1938 erano considerate come basate scientificamente e, per questo, appoggiate da fior di scienziati).

Insomma, come temevamo, dal green-pass in poi è tutta discesa…

P.S. – Nello stesso programma di governo si prevede anche di istituire “una commissione d’inchiesta sulla gestione medica ed economica della pandemia da Covid-19 nonché sulle reazioni avverse da vaccino”. Aspettiamo al varco il nuovo esecutivo su questo argomento, purtoppo – lo dobbiamo dire – senza nutrire particolare fiducia. Anche perché nei paesi più civili del nostro (come ad esempio il Canada) non c’è bisogno di cambiare un governo per fare chiarezza sul suo operato…

Cosa pensare?

Riparte la tiritera dei contagi, dei morti, dei vaccini, senza alcuna analisi, senza alcun distinguo, così come abbiamo sempre fatto in questi due anni.

In attesa di capire come si muoverà in materia il nuovo governo, cominciamo questo terzo inverno di passione registrando un paio di avvenimenti degli ultimi giorni, in modo che non vadano perduti.

Il primo riguarda la ripresa del catechismo pandemico di Don Fabio Fazio nel suo programma “Che tempo che fa” su Rai3, domenica scorsa, quando il Gran Sacerdote dei vaccini Roberto Burioni ha proferito, tra le altre amenità, anche la seguente perla di saggezza: “il vaccino fa sì che io possa essere qui e non in ospedale (…). Questo grazie al vaccino. Io ho fatto la settimana scorsa la quarta dose, penso che questo sia stato importante per far sì che la malattia non sia grave.” Concetto più tardi ribadito in un tweet: “Purtroppo, nonostante le attenzioni, anche io mi sono preso il COVID. A chi dice che il vaccino non funziona vorrei fare notare che mi sono collegato da casa e non da una stanza di ospedale, dove probabilmente sarei finito senza vaccino.” Quindi il 60enne Burioni è convinto che, se non avesse fatto la 4a dose, sarebbe finito come minimo in ospedale. Vediamo quanto “probabilmente” ciò sarebbe potuto accadere: secondo i dati dell’ISS, prima dell’avvento dei vaccini e con la variante di Wuhan (quella più “cattiva”), la probabilità (di molto sovrastimata, a causa della pesante sottostima dei positivi asintomatici sul totale dei “contagiati” – ne parlammo qui) di finire in ospedale era, per un 60enne come Burioni, intorno al 5%: quindi non impossibile, ma era già allora decisamente improbabile che un 60enne in buona salute potesse finire in ospedale a causa del COVID (vieppiù oggi, con la variante omicron, meno pericolosa delle precedenti). Non sappiamo se Burioni appartenga ad una qualche categoria a rischio, ma se così non fosse avrebbe quindi detto un’enorme boiata.

Che tuttavia non gli è bastata. Subito dopo infatti ne ha detta un’altra: “Mentre fino alla variante Delta ci vaccinavamo anche per proteggere gli altri, da Omicron in poi il vaccino protegge soprattutto chi se lo fa.” Quindi, secondo Burioni, il vaccino una volta impediva il contagio e, se oggi non lo fa più, è solo a causa della variante omicron che è diventata prevalente. Ebbene ciò è completamente falso e lo sappiamo sin dall’inizio della campagna vaccinale: il vaccino protegge (abbastanza) dalla malattia grave (quindi protegge i fragili che la rischiano), ma non dal contagio né dal contagiare, cioè non protegge dal risultare positivi; e questo avveniva sia con le vecchie varianti sia con la omicron (e, con quest’ultima, anche di più, visto che è più contagiosa delle precedenti e visto che abbiamo messo su una campagna vaccinale ad epidemia in corso e, da che mondo è mondo, sappiamo che ciò stimola un virus a sviluppare varianti capaci di evadere il vaccino stesso).

Il secondo avvenimento da ricordare, che si collega proprio a quanto testé detto, è il polverone sollevato in merito all’audizione al Parlamento Europeo della presidente dei mercati internazionali di Pfizer, Janine Small, che sarebbe stata messa alle strette da un eurodeputato olandese riguardo alla scarsa efficacia del vaccino nella protezione dai contagi. La notizia in sé ci dice poco, è una cosa che sappiamo bene da tempo, come abbiamo detto poco fa; semmai può essere interessante che non si sia trattato della “rivelazione” di un pericoloso no-vax in un consesso di complottisti, ma dell’ammissione fatta da un alto funzionario di una casa farmaceutica, che produce il vaccino COVID più somministrato in Europa, davanti ad un’alta istituzione sovranazionale; ma nulla più. E, tranne che in pochi casi, i media e i fact-checkers o non se ne sono occupati o si sono limitati a difendere le posizioni istituzionali (ancorché irte di criticità non colte) e a polemizzare su aspetti secondari, mentre praticamente nessuno ha colto l’ovvio:

1) lo sapevamo da sempre (anche noi ne abbiamo parlato tante volte, ad esempio qui);

2) per avere la prova che il vaccino non ha effetto sui contagi basta digitare “dati covid oggi” su Google e guardare i grafici che ne risultano:

Mettendoli a confronto tra loro, pure alla buona come abbiamo fatto noi, ci si accorge che l’andamento della vaccinazione (grafico con curva verde), non ha alcuna correlazione con quello dei contagi (grafico più in alto) i quali sono enormemente di più oggi che non nel 2020-21, mentre sembra esserci una maggiore correlazione con la diminuzione di ricoveri e decessi (come si vede dalle curve più basse nel 2022);

3) vaccinare tutti per proteggere i fragili non è mai servito a nulla (se il vaccino non protegge dal contagio e dal contagiare), tuttavia bastava vaccinare i fragili (perché il vaccino li protegge abbastanza) per ottenere il risultato;

4) l’obbligo vaccinale ed il vergognoso green pass (quello all’italiana, non quello pensato dalla UE) non avevano, perciò, né senso, né utilità, né legittimità.

E c’è un quinto punto, ovvia conseguenza dei primi quattro: cosa pensare di Burioni, alla luce di quanto appena detto? È lo stesso dilemma che più volte ci siamo posti anche per Draghi che – non ce lo dimentichiamo – disse: “non ti vaccini, ti ammali e muori; oppure, fai morire: non ti vaccini, contagi, lui o lei muore”; per Locatelli che voleva il “patto generazionale” ed ha spinto per la vaccinazione dei bambini; per Mattarella che diceva “non si può invocare la libertà per sottrarsi alla vaccinazione, come licenza di mettere a rischio la salute e la vita altrui”; per Speranza, convinto che “la libertà che abbiamo conquistato è grazie ai vaccini” e che “gli italiani sono molto protetti grazie al fatto che oltre il 90% ha completato il ciclo primario”; e così via…

Quindi sì, ricomincia la tiritera e, per ora, non c’è nulla di nuovo.

Concludiamo e ripartiamo

Il blog dell’Uomo della Strada si è trasformato in un libro (in corso di pubblicazione) dal titolo “Perché forse non guariremo – Quando un virus fa il salto di specie infettando la politica, la scienza, l’informazione“. Lì ci sono gran parte delle considerazioni fatte nel blog in oltre due anni, ma rimesse in fila e arricchite, per una lettura più agevole. E pensavamo che il nostro impegno potesse fermarsi lì.

Invece, una volta chiusa l’ultima revisione del libro, ci siamo accorti che purtroppo la follia pandemica non si sta affievolendo e, come diceva il Ministro, “non possiamo abbassare la guardia”.

Perciò, nonostante il libro, anche il blog dovrà continuare ad esistere per un altro po’, almeno per affrontare la cronaca spicciola sul tema COVID che ancora ci insegue dopo quasi tre anni, imperterrita e famelica.